Stalking condominiale

IL DIVIETO DI AVVICINAMENTO NON PUÒ COMPORTARE QUELLO DI USARE L’ABITAZIONE

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Cassazione sezione penale, sez. V, 27 gennaio 2020, n. 3240

La vicenda. Il caso in esame si inserisce in un contesto di tensione di rapporti fra vicini dello stesso edificio. Secondo l'ipotesi accusatoria, l'indagato Tizio si sarebbe reso responsabile di varie condotte di molestia e minaccia all'indirizzo del soggetto passivo Caio, insultandolo anche a causa delle sue minorazioni fisiche (costretto su una sedie a rotelle); in un'occasione, egli lo avrebbe financo colpito con un pugno al naso, cagionandogli lesioni di pur modesta entità.

Il Pubblico Ministero procedente si era limitato a richiedere che nei confronti di Caio venisse applicata la misura del divieto di avvicinarsi alla persona di Tizio e di comunicare con costui; il Gip, invece, risulta aver disposto una misura di maggiore gravità, consistente nel divieto di avvicinamento all'edificio dove Tizio dimora, mantenendosi a una distanza di almeno 50 metri. Ad avviso del difensore del ricorrente, in casi di c.d. "stalking condominiale", infatti, si è già precisato come debbano contemperarsi le esigenze e i diritti primari di tutti i soggetti coinvolti.

Il ragionamento della Cassazione. Secondo la Cassazione, non risultava sufficientemente motivata la prescrizione specifica di mantenere una distanza di almeno 50 metri da Tizio, venendo questa a risolversi, nel caso di specie, in un sostanziale divieto di dimora applicato a carico di Caio ma non richiesto dal Procuratore della Repubblica.

In conclusione: in tema di atti persecutori, il divieto di avvicinamento non può comportare quello di usare l’abitazione.

Per approfondimenti si rinvia a https://www.condominioweb.com/stalking-condominio.16643

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